GIOVANNA BARTOLINI

GIOVANNA, per il gruppo che gestisce questo sito è una di noi.. L a definizione che ci siamo dati "Pellegrini del Tauleto" è nata da queste considerazioni:
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l'amore per le nostre radici (Tolè)
il desiderio di elevare noi stessi e chi ci circonda sia dal punto di vista Culturale che da quello Umano, ma non necessariamente in quest'ordine.
Anzi, l'esperienza da noi vissuta in questi anni insieme a Giovanna ci ha fermamente convinti che è fondamentale mettere al primo posto le Persone e solo a seguire il "Bello" la "perfezione estetica" "la cultura" e così via. Perciò se nelle manifestazioni da noi prodotte troverete delle imperfezioni e delle sbavature non ce ne vogliate, ma sono il prodotto di una scelta precisa e consapevole. Perchè riteniamo sia più importante il rispetto per una persona anche nei momenti di difficoltà che la perfezione tout-court. Questo seppure nell'amore per il bello, la cultura e quant'altro.
A questo proposito giova ricordare che proprio l'amore di Giovanna per "le cose belle" ci ha ispirato la creazione di un concerto annuale ed è proprio per questo motivo che dal 2008 esso è e sarà sempre dedicato a GIOVANNA.
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__________Maurizio Vicinelli

giovedì 21 maggio 2009

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_______________________________________INTRODUZIONE ALLA SERATA
___________________“NON ABBIATE PAURA. IL CORAGGIO TRA L’IMPEGNO E LA SPERANZA”
in ricordo di Giovanna Bartolini
Con interventi di Mons. Giancarlo Bregantini e Piero Schirripa
Bologna, 17 Dicembre 2008
Aula Absidale di S. Lucia

Mario Compiani


Vorrei innanzitutto ringraziare tutti voi per la vostra presenza che testimonia non solo l’affetto per Giovanna ma anche l’interesse per gli ideali suoi e miei. Ed in effetti il modo più pieno per ricordare Giovanna è continuare a seguire gli orientamenti che molti di noi hanno condiviso con lei. Questo in ultima analisi il senso della serata.

Dunque cosa lega insieme Giovanna al tema di questa sera e al Centro Donati? Cosa lega Giovanna a Mons. Bregantini e a Piero Schirripa che continua tenacemente a gettare semi di speranza nella Locride? Tutte queste persone sono accomunate da una qualità che Pascal stimava in grado sommo e che ha sintetizzato nella nozione di “honnête homme”. Siccome la traduzione come “uomini onesti” impoverisce eccessivamente le tante sfaccettature di senso spendiamo qualche parola per approfondirne il significato. Pascal auspica “[...] che non si possa [dire] di uno “E’ un matematico, un predicatore, una persona eloquente”, ma solamente che é un uomo per bene. Questa qualità universale é la sola che mi piaccia.” Gli studiosi del pensiero di Pascal suggeriscono che il concetto denota elettezza dei costumi, la finezza del gusto, la delicatezza del sentire e una cultura versatile ed universale aliena da qualsiasi abito professionale come da qualsiasi pedanteria e specializzazione.
Io aggiungo che “honnête homme” è colui che è mondo da ogni aggressività, che combatte per le proprie idee senza però imporle, che non esibisce il proprio sapere ma lo mette al servizio degli altri.
Dunque cosa accomuna questi uomini “onesti”? In primo luogo la ribellione all’ineluttabilità delle cose e delle situazioni. Impegno che assume immediatamente una connotazione evangelica visto che il Cardinal Martini ci ricorda che “L’inferno si contraddistingue per l’ineluttabilità, la mancanza di una via di uscita, il senso di un eterno abbandono”.
In secondo luogo l’uomo “onesto” si caratterizza per una forte assunzione di responsabilità personale nell’ordinarietà di una vita che può anche non essere segnata da atti eroici ma da piccoli e tenaci passi quotidiani. A questo proposito guardiamoci dal sottovalutare il valore del tenere la rotta giorno per giorno con perseveranza. Hannah Arendt nella Banalità del Male ha analizzato l’effetto dirompente e cumulativo di tanti piccoli arretramenti (silenzi, omissioni e compromessi) nel creare il consenso sotterraneo che ha poi fornito le premesse per la tragedia del nazismo.
Infine vanno menzionati quei valori cristiani che, quando sono autentici, si riversano immediatamente in un impegno etico, politico, sociale e professionale. Impegno che si rifà a quel pensare politico, dice il Cardinal Martini, che porta a “... chiederci quale è la mia parte nell’infelicità del mondo e come posso io cambiare la situazione?”

Dicevo ribellione all’ineluttabile. Mi piace citare in proposito un saggio di Camus del 1946:
“Rifiutare di inchinarci agli avvenimenti, ai fatti, alle circostanze, a ricchezze e potere, alla storia che corre, al mondo come va. [...] Non si tratta di collocarsi fuori dal mondo, ma di traverso rispetto alla storia”, di sbieco dice in altri saggi, starci e non starci, essere dentro e fuori. Espressione che ha una forte assonanza con l’esortazione evangelica ad “essere nel mondo ma non del mondo”.

E’ significativo e tremendamente attuale il quadro che Hermann Hesse faceva del mondo in quello stesso anno, un quadro che ci introduce al tema di questa sera:
“Nell’incertezza e nello sbigottimento dello spirito propri di un periodo di burrasche politiche e di grande miseria materiale [...] fecero parecchie spaventose guerre [...] e quei loro giochetti intellettuali [...] (per cui dovevano raccappezzarsi in un diluvio di isolati e quindi insulsi valori culturali e frammenti di scienza) rispondevano ad un profondo bisogno di chiudere gli occhi, di evitare problemi insoluti ed angosciose previsioni apocalittiche e di rifugiarsi, se possibile, in un mondo apparente. Con tenacia imparavano a guidare l’automobile, a fare difficili giochi [...] perché erano quasi inermi di fronte alla morte, alla paura, al dolore, alla fame [...] e non si prendevano tempo e modo di fortificarsi contro la paura, di combattere dentro di loro la paura della morte, ma vivevano tremando senza alcuna fede in un domani. ”

I temi della paura e della mancanza di speranza. Conclusioni che riecheggiano quelle di Camus:
“Nel mondo in cui viviamo [...] la maggior parte degli esseri umani (esclusi i credenti di ogni sorta) sono privi di futuro.” Mancanza di futuro che genera paura.
Ancora Camus constata che “Se è vero che la paura di per se non può considerarsi una scienza, non c’è peraltro dubbio che sia una tecnica”. Una tecnica utile per indirizzare il consenso e con questo torniamo ad un problema centrale non solo nelle riflessioni dell’immediato anteguerra e del dopo guerra ma, tragicamente, ma anche nella nostra epoca. Quello che sul finire degli anni Trenta del ‘900 il teologo Dietrich Bonhöffer definiva “... il problema fondamentale del nostro tempo è il problema degli stupidi”. (Purtroppo mi devo affidare alla traduzione non avendo avuto la possibilità di visionare il testo originale. Lo dico in quanto mi piacerebbe sostituire quello “stupidi” con “disattenti, inavvertiti, deboli”). Sono comunque le masse consenzienti, vittime della fabbrica del consenso. Coloro nei quali è stato ottuso ogni spirito di critica indipendente.

Se c’è paura nel mondo c’è paura anche nella Chiesa. Il Cardinal Martini ci ricorda che “Oggi molte cose avvengono per paura [...] e paura e indifferenza sono entrambe presenti nella Chiesa.”
Gli fa eco ancora Camus “Oggi quelli che vanno combattuti sono il silenzio e la paura e con essi la separazione che provocano delle menti e delle anime”. Vale la pena ricordare che il “diavolo” è, etimologicamente, lo spirito di separazione per antonomasia.

Questa la situazione di cui ragionavamo sovente con Giovanna.
Allora di fronte a tanta emergenza occorre fare proprio il motto folgorante di Camus:
“Mi rivolto e dunque siamo”. Il primo atto è al singolare e parte come impulso di maturazione individuale e il secondo è collettivo e sfocia in un processo di identificazione e presa di coscienza.
Per fugare fraintendimenti (non stiamo facendo l’apologia di rivoluzioni armate) si ricordi che il “rivoltarsi” può anche essere letto come “convertirsi”, l’etimo è lo stesso, invertire la direzione di marcia. Richiamo quanto mai appropriato in questo tempo di Avvento.

Mi rivolto, ma come in concreto? Camus sogna una linea d’azione che, in fondo, ci offre una esplicitazione alternativa del profilo dell’uomo “onesto” di Pascal:
“Coloro che decideranno in ogni circostanza di opporre l’esempio alla forza, e la predicazione al dominio, il dialogo all’insulto e il semplice onore alla furberia; che rifiuteranno tutti i vantaggi della società attuale e accetteranno solo i doveri e gli oneri che li legano agli altri; che si impegneranno a orientare l’insegnamento in primo luogo e poi la stampa e l’opinione pubblica, [...] costoro prepareranno il futuro e, così facendo, faranno crollare qualcuno dei muri che ci opprimono. [...] L’efficacia della loro azione non sarà disgiunta dal coraggio con cui accetteranno di rinunciare nell’immediato a certi loro sogni per non staccarsi dall’essenziale che significa salvare vite umane.” Staccarsi da certi sogni e, io aggiungerei, da certe ambizioni.

In questi termini ricordo la vita di Giovanna e mi pare si possa racchiudere l’operato di Monsignor Bregantini, di Piero Schirripa, del Centro Donati e di tutti gli uomini “onesti”. Uomini che non hanno mai abbassato la testa e che semmai hanno dato motivo ad altri di rialzarla, persone alle quali lo status sociale o istituzionale non impedisce di mettersi al passo di chi va più piano, persone per le quali lo status non diviene una divisa che come suggerisce il termine è primariamente un segno di distinzione e quindi di separazione. Persone che si distinguono per l’impegno contro le forze di disgregazione e a favore di un’azione orientata a ricucire, a riallacciare, senza paternalismi o condiscendenza.
Uomini che hanno uno sguardo largo che consente loro di guardare oltre. Suona molto a proposito il monito che ci rivolge il Cardinal Martini: “[Cristo tornando oggi] scuoterebbe tutti i responsabili della Chiesa rammentando che la loro missione riguarda il mondo intero [...] e che devono guardare oltre i confini della loro istituzione.” Monito che andrebbe applicato urgentemente anche a tutte le istituzioni laiche, e all’università in particolare. E ce n’è bisogno come testimonia eloquentemente il seguente aneddoto di cui sono stato testimone e protagonista. Giusto in questi giorni ascoltavo uno studente di dottorato che, illustrando il procedere della propria ricerca, ci raccontava di essere impegnato nella realizzazione di tecniche per sintetizzare una sostanza naturale, una neurotossina, che è un potente veleno per il nostro sistema nervoso. I miei colleghi si sono soffermati a richiedere delucidazioni su molti dettagli delle sofisticate tecniche di chimica organica che venivano sapientemente dispiegate. Io ho posto una domanda molto semplice: qual’è lo scopo di questa ricerca? La risposta fornitami suonava all’incirca così: “Lo scopo è di poter disporre di quantità industriali della sostanza che, in natura, è troppo scarsa e difficilmente isolabile”. Rimane il mistero circa l’utilità di disporre di neurotossine in grande quantità (anche se qualche idea per nulla rassicurante ci passa per la testa), rimane lo sconcerto di fronte al ricercatore che o non si è posta la domanda o si è accontentato dell’inverosimile giustificazione fornitagli dai responsabili del progetto di ricerca.

Torniamo allo essere dentro e fuori, allo star dentro guardando fuori e viceversa. All’opera urgente di riallacciare ponti tra sponde separate ed attualmente non comunicanti. Dagli ospiti di questa serata ci aspettiamo preziosi suggerimenti per l’azione di ricostruzione che attende il contributo di tutti noi.

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